domenica 25 novembre 2012

Modern Witch League 5#: Alfabeto di strega:


N - come Nótt


La Notte, figlia di Nǫrfi. Dai capelli neri e dalla pelle scura, ella cavalca nel cielo sul suo destriero Hrímfaxi, trascinando l'oscurità sul mondo.

Parentele:

-Figlia del gigante Nǫrfi, dai capelli neri e la pelle scura.
-Sposa tre volte. Da Naglfari ha il figlio Auðr, da Annarr la figlia Jǫrð, da Dellingr il figlio Dagr.
-Allfǫðr gli fornisce un cavallo e un carro. Da quel giorno egli cavalca nel cielo in groppa a Hrímfaxi, e ogni dodici ore porta la notte su tutta la terra.

Etimologia:

Nótt, cosmonimo.
«Notte».

Nótt | Norreno, sostantivo femminile nótt, «Notte». La parola era scritta in norreno nótt o, più raramente, nátt; anche se la reale pronuncia, in realtà, avrebbe dovuto comportare un'ortografia ntt. Derivante da un protogermanico *naht-, il termine è comune in tutte le lingue germaniche (cfr. antico e medio alto tedesco naht, tedesco Nacht, olandese nacht; anglosassone næht/niht, inglese night; danese nat, svedese natt). A sua volta, dalla radice indoeuropea *NOKʷT- (cfr. sanscrito niśā, greco nýx, latino nox, russo noč', etc.).


Peter Nicolai Arbo (1887) 



Nótt compare innanzitutto nel Vafþrúðnismál, in una strofa che ci ragguaglia sulle genealogie cosmico-primordiali. Per la prima volta, Nótt compare quale figlia di Nǫrfi, sposa di Dellingr e madre di Dagr.

Da dove il giorno è venuto,
lui che sulla schiera degli uomini va,
e la notte [Nótt] e le fasi lunari?

Dellingr si chiama
colui che fu il padre di Dagr,
e Nótt da Nǫrfi nacque;
luna piena e luna nuova
crearono gli dèi propizi
per segnare agli uomini il tempo.

Ljóða Edda > Vafþrúðnismál [24-25]


Un'altra strofa della stessa composizione cita invece Hrímfaxi, «criniera di brina», il cavallo di Nótt.
Stessa cosa in un passo del Alvíssmál, dove nótt sarebbe interpretabile come nome comune, senonché viene anche detta «figlia di Nǫrfi»
Bellissimo è l'«inno al giorno» con il quale la valchiria Sigrdrífa celebra il suo risveglio, nel canto eddico di cui è protagonista. La notte [Nótt] vi viene salutata insieme alle sue «sorelle», il giorno [Dagr] insieme ai suoi «figli».

Ma è Snorri, come al solito, a fornire la versione più estesa e dettagliata del mito di Nótt, a cui dedica il decimo capitolo della sua Edda. Ci racconta della sua nascita, portando a tre il numero dei suoi matrimoni, e infine narra di come Óðinn mise lei e suo figlio Dagr a cavalcare in cielo, portando rispettivamente la notte e il giorno:

Nǫrfi o Narfi si chiamava un gigante che abitava in Jǫtunheimr. Egli aveva una figlia, che si chiamava Nótt, la quale era scura di carnagione e nera di capelli, come si addiceva alla sua stirpe. Ella era moglie di un uomo chiamato Naglfari. Loro figlio fu Auðr. In seguito fu sposata a uno che si chiamava Annarr. La loro figlia si chiamò Jǫrð. Infine ebbe Dellingr, che era della stirpe degli Æsir. Loro figlio fu Dagr. Egli era luminoso e bello come suo padre. Quindi Allfǫðr prese Nótt e Dagr, figlio di lei, diede loro due cavalli e due carri e li mandò su in cielo, affinché cavalcassero ogni dodici ore attorno alla terra. Nótt corre per prima su quel cavallo che si chiama Hrímfaxi e ogni mattino esso bagna la terra con la schiuma del suo morso. Il cavallo che possiede Dagr si chiama Skinfaxi perché col suo manto illumina tutto il cielo e la terra.

Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [10]


Fonti: Bifrost e web

Modern Witch League 5#: Alfabeto di strega:


M - come Medusa


Esite una divinità che è l’altro volto della Grande Dèa, come anche «l’altro aspetto della bella Persefone» . A lei, Athena, nell’osservare il proprio riflesso nell’acqua, si vide, con orrore, somigliante. È una dèa che fu decapitata da colui che ne guardava il viso riflesso da una lustra superficie: un guerriero la cui ombra riflessa sul mare fu successivamente azzannata da un mostro marino. Questa dèa è Gorgo, il cui volto è simile a uno specchio, per chi, seppure terrorizzato, osa fissarlo.

Medusa è un mostro della mitologia greca, figlia di Forco e di Ceto. Era una delle Gorgoni, insieme a Steno ed Euriale, e l'unica a non essere immortale. Nelle rappresentazioni più antiche ella era orrenda, esattamente come le sue sorelle Steno ed Euriale. In versioni più recenti tuttavia (Pindaro, Ovidio) Medusa è stata considerata come una donna bellissima che riusciva ad affascinare gli uomini che non riuscendo a trattenersi si voltavano e la guardavano, trasformandosi in pietra.

Era un mostro, di aspetto terribile, con la testa cinta di serpenti, zanne di cinghiale, mani di bronzo, ali d’oro, occhi scintillanti e sguardo che impietriva. Perseo, venuto per ucciderla su ordine di Polidette, tiranno di Serifo, o di Atena, le tagliò la testa mentre Medusa dormiva, sollevandosi in aria con i sandali alati e servendosi dello scudo come di uno specchio per evitarne lo sguardo terribile. Dal suo capo uscirono il cavallo Pegaso e Crisaore. Atena poi ne fissò la testa al centro dell’egida sul suo petto (o sul suo scudo) e Perseo ne raccolse il sangue: velenoso quello sgorgato dalla vena sinistra, rimedio risuscitatore dei morti quello della vena destra.

La leggenda più tarda fece di Medusa una fanciulla rivale di Atena per la bellezza della chioma, che la dea punì cambiandone i capelli in serpenti, o anche una fanciulla che, violata da Poseidone in un tempio della dea, fu punita per il sacrilegio.
L’effigie riprodotta dai fonditori di artiglieria dell’epoca moderna per abbellimento, è divenuta poi simbolo dell’arma d’artiglieria e adoperata come fregio della bandoliera di parata e delle gualdrappe per cavalli.

Inoltre, la sua testa continuava a rendere di pietra chiunque la guardasse anche dopo essere stata staccata dal corpo: Perseo, infatti, la mostrò ad Atlante che diventò il monte omonimo, quindi a Fineo (o Agenore) e duecento dei suoi seguaci durante lo scontro armato per la mano di Andromeda. Inoltre usò la testa della gorgone anche per riscattare la madre, tenuta prigioniera dal perfido re Polidette.
Infine, la testa di Medusa fu donata da Perseo ad Atena, che gli aveva donato lo specchio riflettente con il quale aveva potuto affrontare Medusa senza guardarla direttamente negli occhi e senza così essere pietrificato; Atena, ricevutala in dono, la pose al centro della propria Egida fondendola con essa, lo scudo così assunse la capacità di ridurre in pietra chiunque.
Secondo una variante Perseo seppellì la testa ad Argo.


Medusa : Michelangelo Merisi da Caravaggio - 1597 ca. - olio su tela - Galleria degli Uffizi, Firenze





Modern Witch League 5#: Alfabeto di strega:


I- come Inanna


Figlia del dio del cielo An, ma anche del dio della luna Nanna. È sorella del dio del Sole Utu, nipote del dio dell'Aria Enlil e compagna del dio-pastore Dumuzi. Era soprannominata dai Sumeri "Anunita" (o anunitu), perché era la preferita del prozio Anu, il padre degli dei che abitava in cielo e che giaceva con lei, quando veniva in visita sulla terra.
Ella fa parte del clan degli Dei Enliliti in contrapposizione agli Dei del clan di Enki fratellastro e rivale di Enlil.


Inanna è la più importante Dea sumera dell’antica civiltà mesopotamica.
Dea dell’amore, della fecondità e della bellezza, Inanna è regina dei cieli e della terra. E’ anche Dea del grano, della guerra, e dell’amore sessuale.
Lei è contemporaneamente regina della terra e del cielo, della materia e dello spirito, dell’oscurità e della luce, dell’abbondanza della terra e guida celeste.
Inanna ha una sorella: Ereshkigal. E’ la sua ombra, il suo complemento: insieme le due dee formano il disegno bipolare della totalità del femminile archetipico, l’unità madre-figlia della grande Dea. Tale disegno è analogo alle peregrinazioni della stella Inanna, sopra e sotto l’orizzonte. La faccia illuminata e la faccia buia della luna.
Entrambe le immagini delle dee rappresentano fasi di un tutto, che va visto e onorato.
Ereshkigal è la dea oscura. Il suo nome significa “signora del gran luogo inferiore” , ma prima di essere relegata nel kur, anche lei era una dea dei cereali e viveva nel mondo superno.
Perciò simboleggia il gran circolo della natura, il seme al di sopra del terreno che cresce, e il seme sotto terra che muore per poi germogliare nuovamente.
Rappresenta il continuum in cui i vari stati sono semplicemente vissuti come trasformazioni di un’unica energia. Secondo il mito, quando si trovava nel mondo superno, Ereshkigal si chiamava Ninlil e veniva detta la moglie di Enlil, il dio del cielo della seconda generazione. Ninlil fu più volte violentata dal marito sotto vari travestimenti. Sicchè gli dei lo punirono mandandolo nel mondo sotterraneo. Ma per amore del consorte, Ninlil lo seguì negli inferi dove assunse il nome di Ereshkigal.

Essa simboleggia l’abisso che è la sorgente e la fine, il terreno di tutto quanto l’essere.
Il suo regno rappresenta l’unica certezza della vita: il fatto che tutti moriamo.


I numerosi miti su Inanna furono creati tra il 3500 a. C. e il 1900, ma probabilmente hanno origini anche anteriori. Nella loro versione originale si trattava sicuramente di miti pre-patriarcali. Tuttavia le storie che la riguardano dimostrano le incursioni del patriarcato nella progressiva sua perdita di status, tale per cui da “Dea di ogni cosa” gradualmente si trasformò in una seduttrice. Il fatto che nella preistoria fosse rappresentata come una Dea di fertilità della terra, come testimoniano le statuine che la ritraggono con grandi fianchi e seni prosperosi, mentre in seguito si trasformò in una “bella donna” è un chiaro sintomo dell’avvento del potere patriarcale. Quando i Babilonesi e gli Assiri subentrarono in Mesopotamia ai Sumeri, identificarono con Inanna la loro dea Ishtar.
I racconti ed il suo mito forniscono in primo luogo la trasposizione letteraria del ciclo stagionale e del ritmo della natura, con i suoi mutamenti, lo svuotamento e riempimento dei granai, la trasformazione dei cereali e dell’uva. In secondo luogo il mito della discesa negli inferi è indubbiamente la storia di un’iniziazione ai misteri.

Patrona di tutte le emozioni quali amore, gelosia, gioia, dolore, timidezza ed esibizionismo, fino alla passione, l’ambizione e la generosità, Inanna fu eternamente giovane, dinamica, fiera, sensuale e libera. Una variante del suo nome è Ninnanna, che significa regina del cielo. E’ anche chiamata Ninsianna quale personificazione del pianeta Venere. Viene descritta come una dea riccamente abbigliata o completamente nuda.
Il suo simbolo è la stella a otto punte. Suoi importanti santuari si trovavano a Uruk, Zabala e in Babilonia.
Non fu mai accasata, nè dominata da alcuno, magnetica quanto indipendente. Sempre in movimento, alla ricerca della sua casa, del suo potere. Regina del cielo, dea delle piogge gentili e dei terribili acquazzoni, dea del mattino e stella della sera, regina della terra e della sua fertilità, ma anche dea della guerra e dell’amore sessuale. Più estroversa persino di Afrodite, era una dea molto attiva. Molti furono i nomi attraverso cui il suo culto si diffuse trasformandosi (Ishtar, Iside, Neith, Meti, Astarte, Cibele, Afrodite, Brigit), tuttavia tutte le dee che vennero dopo di lei vengono descritte come molto meno potenti di quanto lo fosse Inanna.


Fonti: "il dizionazio delle Dee e delle Eroine" di Patricia Monoghan
"la grande Dea-il viaggio di Inanna regina dei mondi" di S.W.Perera
Eridano School of astrology - Manuela Caregnato


Modern Witch League 5#: Alfabeto di strega:


H - come Heket


La dea Heket o Hequet-Hiquit era la divina madre della fertilità dell'antico Egitto, la protettrice della nuova vita.

Era spesso rappresentata come una rana o una donna con il capo di rana, ed era frequentemente invocata per portare protezione al processo del parto o per difendere l'unità familiare e custodire la casa.
Gli amuleti indossati dalle donne come protezione al momento della nascita portavano spesso la sua immagine, e si credeva anche che ella portasse sollievo alla madre grazie a degli arnesi raffigurati sul ventre o poggiati simili a coltelli aiutasse dai dolori durante il parto.

L'influenza di Heket si manifestava nell'infondere i primi segni della vita ad un bambino non ancora nato, e nell'accelerare gli ultimi momenti di travaglio.

Si riteneva che Heket fosse una tra le divinità che creavano la forma del bambino nel ventre materno.
Secondo alcune fonti essa era da considerare la controparte femminile del dio Ariete Khnum, se non addirittura la sposa, il quale plasmava i fanciulli non ancora nati sul suo tornio da vasaio.


Non è sorprendente che la rana fosse associata alla gestazione e al parto. Le rane adulte sarebbero state numerose all’alba dei tempi e le loro uova sarebbero state abbondanti nelle acque del Nilo e nelle sue cateratte. Poiché gli Egiziani ritenevano che la vita emergesse dalle acque primordiali di Nu e che il Nilo stesso sgorgasse da Nu, le sue acque sarebbero dunque state indicative della nuova vita, specialmente qualora si consideri che il fiume era essenziale alla nuova crescita del raccolto e al nutrimento del popolo egiziano. La connessione si sarebbe rafforzata dall’osservazione delle acque del feto che si rompevano prima del momento della nascita. I bambini, come le rane, emergevano dall’acqua.

L’immagine di Heket divenne un potente totem di protezione.
Era questo un modo per assicurarsi la protezione sacra che Heket poteva fornire, ponendosi sotto la sua tutela durante il periodo della gestazione e del parto.
Heket era anche una protettrice della casa. Coltelli magici con rappresentazioni della divinità rana erano usati durante il Medio Regno per assicurare protezione al nucleo familiare.
Nelle tradizioni dell’America centrale si riteneva che la rana portasse salute eliminando l’energia negativa e tenendo lontano il male.
Le ostetriche erano definite "serve di Heket" in onore del loro compito di dispensare la vita. I colori di Heket sono il verde e il rosa.

Tra le forme di protezione di Heket c’era quella di disperdere le forze negative assicurando alla nuova vita un passaggio sicuro nel mondo.

Fonti: Vari appunti e fonti

Modern Witch League 5#: Alfabeto di strega:


G - come Gea-Gaia


Nel vuoto primordiale cominciò la danza di Gaia, la dea della Terra.
Si ripiegò in forma di sfera e dalla sua schiena crebbero le montagne.
L'umidità presente nel suo corpo si trasformò in pioggia feconda,
i suoi interstizi si convertirono in valli, dai suoi pori spuntarono le prime piante
e dalla sua pelle i primi animali. In seguito dal suo seno fece nascere donne e uomini .


Etimologia: Gea o Gaia (in greco attico Γῆ, in greco ionico Γαῖα) nella mitologia greca è il Titano femmina che impersona la Terra, identificata nella Dea Romana Tellure.

Mito: Gaia è il nome della Dea attraverso cui gli antichi Greci onoravano la Terra.
In base a questa credenza, Gaia, fecondo ventre cosinico scaturito dal primordiale spazio interstellare noto con l’appellativo di Caos.
La Teogonia di Esiodo racconta come, dopo il Caos, sorse l’immortale Gea, progenitrice degli dei dell’Olimpo. Da sola e senza congiungersi con nessuno, ella generò Urano (il cielo stellato), Ponto (le sterili profondità del mare) e le montagne. In seguito, racconta sempre Esiodo, si unì ad Urano dando alla luce i Titani. Esiodo parla anche della successiva progenie di Gaia ed Urano, dapprima i Ciclopi. Poi i tre terribili Ecatonchiri dalle cento braccia.
ma Urano, temendo che la loro forza potesse essere superiore a a sua, ha proibito a Gaia di partorirli.
Nondimeno, a Cronos, il Tempo, il più forte dei suoi figli, Gaia donò una falce fatta con un materiale duro come l'acciaio e simile al diamante: con essa Cronos avrebbe reciso i genitali di Urano ponendosi all'entrata del ventre materno.
Ciò ha permesso a Gaia di creare tutti gli dèi e tutte le dee dell'antica Grecia.

Presso il celeberrimo tempio innalzato a Delfi in suo onore, si recavano le sacerdotesse che gettavano manciate di erbe sacre all'interno di un calderone, ricorrendo al fragrante fumo che ne scaturiva per invocare l'eterna saggezza di Gaia.

Fonti: Il web