N - come Nótt
La Notte, figlia di Nǫrfi. Dai capelli neri e dalla pelle scura, ella cavalca nel cielo sul suo destriero Hrímfaxi, trascinando l'oscurità sul mondo.
Parentele:
-Figlia del gigante Nǫrfi, dai capelli neri e la pelle scura.
-Sposa tre volte. Da Naglfari ha il figlio Auðr, da Annarr la figlia Jǫrð, da Dellingr il figlio Dagr.
-Allfǫðr gli fornisce un cavallo e un carro. Da quel giorno egli cavalca nel cielo in groppa a Hrímfaxi, e ogni dodici ore porta la notte su tutta la terra.
Etimologia:
Nótt, cosmonimo.
«Notte».
Nótt | Norreno, sostantivo femminile nótt, «Notte». La parola era scritta in norreno nótt o, più raramente, nátt; anche se la reale pronuncia, in realtà, avrebbe dovuto comportare un'ortografia ntt. Derivante da un protogermanico *naht-, il termine è comune in tutte le lingue germaniche (cfr. antico e medio alto tedesco naht, tedesco Nacht, olandese nacht; anglosassone næht/niht, inglese night; danese nat, svedese natt). A sua volta, dalla radice indoeuropea *NOKʷT- (cfr. sanscrito niśā, greco nýx, latino nox, russo noč', etc.).
Peter Nicolai Arbo (1887)
Nótt compare innanzitutto nel Vafþrúðnismál, in una strofa che ci ragguaglia sulle genealogie cosmico-primordiali. Per la prima volta, Nótt compare quale figlia di Nǫrfi, sposa di Dellingr e madre di Dagr.
Da dove il giorno è venuto,
lui che sulla schiera degli uomini va,
e la notte [Nótt] e le fasi lunari?
Dellingr si chiama
colui che fu il padre di Dagr,
e Nótt da Nǫrfi nacque;
luna piena e luna nuova
crearono gli dèi propizi
per segnare agli uomini il tempo.
Ljóða Edda > Vafþrúðnismál [24-25]
Un'altra strofa della stessa composizione cita invece Hrímfaxi, «criniera di brina», il cavallo di Nótt.
Stessa cosa in un passo del Alvíssmál, dove nótt sarebbe interpretabile come nome comune, senonché viene anche detta «figlia di Nǫrfi»
Bellissimo è l'«inno al giorno» con il quale la valchiria Sigrdrífa celebra il suo risveglio, nel canto eddico di cui è protagonista. La notte [Nótt] vi viene salutata insieme alle sue «sorelle», il giorno [Dagr] insieme ai suoi «figli».
Ma è Snorri, come al solito, a fornire la versione più estesa e dettagliata del mito di Nótt, a cui dedica il decimo capitolo della sua Edda. Ci racconta della sua nascita, portando a tre il numero dei suoi matrimoni, e infine narra di come Óðinn mise lei e suo figlio Dagr a cavalcare in cielo, portando rispettivamente la notte e il giorno:
Nǫrfi o Narfi si chiamava un gigante che abitava in Jǫtunheimr. Egli aveva una figlia, che si chiamava Nótt, la quale era scura di carnagione e nera di capelli, come si addiceva alla sua stirpe. Ella era moglie di un uomo chiamato Naglfari. Loro figlio fu Auðr. In seguito fu sposata a uno che si chiamava Annarr. La loro figlia si chiamò Jǫrð. Infine ebbe Dellingr, che era della stirpe degli Æsir. Loro figlio fu Dagr. Egli era luminoso e bello come suo padre. Quindi Allfǫðr prese Nótt e Dagr, figlio di lei, diede loro due cavalli e due carri e li mandò su in cielo, affinché cavalcassero ogni dodici ore attorno alla terra. Nótt corre per prima su quel cavallo che si chiama Hrímfaxi e ogni mattino esso bagna la terra con la schiuma del suo morso. Il cavallo che possiede Dagr si chiama Skinfaxi perché col suo manto illumina tutto il cielo e la terra.
Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [10]
Fonti: Bifrost e web
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